Per quello che ci è dato sapere, l’uomo è l’unico animale ad aver coscienza della propria morte, perché è capace di percepire la dimensione del futuro.
La morte costituisce per me, uomo, un ostacolo al mio desiderio di vita, come è un ostacolo anche l’esperienza che faccio della mia limitatezza, vissuta nella sofferenza e nella malattia.
Per questo, sin da quando l’uomo comparve sulla terra, per fronteggiare e tentare di arginare la propria paura della morte ha pensato alla sopravvivenza dopo la dissoluzione del corpo fisico.
In questa prospettiva si è sviluppato il tema della memoria e del culto dei morti.
Io, uomo, sono capace di trascendere la dimensione del qui ed ora, e sono costitutivamente aperto all’idea della sopravvivenza ultraterrena.
Il nostro desiderio di non morire è segno della presenza in noi di capacità superiori, che ci fanno anelare all’eternità, all’infinito, alla salvezza.
La morte di una persona si acclara nel momento in cui cessano le potenzialità di relazione con i suoi simili.
Tale condizione viene percepita anche da chi, ancora in vita, si sente solo e non accudito dal calore degli affetti: pensiamo all’anziano abbandonato, allo straniero, al senza fissa
dimora, al depresso grave. È così che si arriva a desiderare la morte del proprio corpo, quale unica soluzione ad un problema percepito e vissuto come senza soluzione.