Sono un essere umano, aperto per natura ai miei simili, e trovo nell’altro la condizione necessaria per la mia maturazione.
La dignità più elevata del mio essere uomo si rispecchia nella gratuità e nel dono, nella capacità disinteressata, mai strumentale, di saper amare.
Ma come potrò mai amare veramente l’altro se prima non imparo ad amare me stesso? Solo se troverò il senso della mia vita e sarò pacificato nell’animo diventerò davvero in grado di donare.
Osservando e riflettendo constato che si verifica esattamente l’opposto nell’egoismo, nell’attaccamento, nell’avidità e nell’uso strumentale delle relazioni con il prossimo: in questi casi l’apparente pienezza e l’appagamento sono effimere parvenze ed illusori possessi usati inconsciamente per coprire e mascherare il proprio vuoto di valori e di senso.
L’uomo del terzo millennio si nasconde in inutili affaccendamenti, si stordisce con la tecnologia, con l’uso voluttuario o lenitivo di sostanze tossiche che aprono la porta a nuove forme di schiavitù, con la sessualità compulsiva, consumata ma non vissuta, con la mercificazione di ogni cosa, comprese le relazioni con l’altro, nel qui ed ora.
Vedo in tutto ciò le premesse per una solitudine esistenziale che ci pervade sempre di più.